L'Aquila-Pro Piacenza, nell'immaginario dei più, rappresentava alla vigilia l'occasione giusta per ripartire dopo la prestazione dai toni chiaroscuri di Forlì che aveva portato i ragazzi di mister Zavettieri ad un pareggio, 2-2 in rimonta, dopo 5 vittorie consecutive. Una sorta di esame di maturità del gruppo, anche alla luce del brutto infortunio occorso a Tommaso Ceccarelli, crociato rotto e stagione finita per lo sfortunato attaccante, che ha scosso non poco l'ambiente. Un banco di prova importante contro una squadra ultima in classifica e che fino a ieri faticava non poco a trovare la via del risultato, soprattutto lontano dal Garilli.
Ma L'Aquila è mancata. Specialmente nell'approccio. Sin dalle battute iniziali si è visto un undici molle, a corto di qualità e di idee. Padrone del centrocampo e del gioco, ma senza trovare mai il guizzo giusto negli ultimi 16 metri. Quello che ci vuole per vincere una gara contro un avversario bravo ed ordinato a difendersi e pronto a colpire in ripartenza. Chi poteva e doveva fare la differenza ha dato l'impressione di non riuscire ad entrare mai in partita, leggasi la grande chance regalata a Manuel Mancini, schierato finalmente dal primo minuto nel ruolo per cui era stato acquistato in estate e che non ha mai regalato giocate illuminanti, oppure Mario Pacilli, la cui tecnica e dribbling dovrebbero essere a questo punto della stagione l'arma in più di questa squadra, ma che invece continua ad apparire come un solista in cerca d'autore. Ma parlare di singoli, quando è il collettivo ad aver “toppato”, è sbagliato.
E non è una questione tattica. 3-4-1-2, 3-4-3, o anche il 5-5-5 di scuola Canà, rimangono solo dei semplici numeri se quando entri in campo non dimostri di avere le giuste motivazioni, la grinta, lo spirito, la cattiveria agonistica, ma soprattutto la grande umiltà per poterti andare a prendere i 3 punti.
Zavettieri in sala stampa è stato bravissimo, da abile comunicatore e psicologo qual è, ad accentrare su se stesso le colpe di un sabato sbagliato. Lo ha fatto per preservare lo spogliatoio ed il suo gruppo. In questo momento infatti la necessità è quella di rimanere tranquilli e sereni per rimettersi sin da subito a lavorare a testa bassa in vista della difficilissima trasferta di Grosseto della prossima settimana, che a questo punto diventa fondamentale. Anche per arrivare alla finestra di mercato di gennaio a ridosso delle prime posizioni per permettere alla società di puntellare un gruppo già forte.
La verità, su ieri, è che, forse per la prima volta, è stato sottovalutato l'avversario. Si è pensato che il Pro Piacenza potesse essere una formalità di fine dicembre, magari con la testa già al prossimo turno. Ma, come continuiamo a dire dalla prima giornata, e come dimostrato ancora una volta dall'anticipo del venerdì, che ha visto il San Marino avere la meglio sulla Reggiana, in questo girone tutti se la giocano con tutte. E le partite più difficili sono proprio quelle apparentemente più scontate. L'importante è prendere questa sconfitta con lo spirito dell'incidente di percorso, facendo tesoro degli errori commessi. Solo così L'Aquila può compiere l'ultimo passo nell'ottimo percorso di crescita, iniziato con l'arrivo del condottiero calabrese, per diventare una grandissima.
Doveroso oggi chiudere con le dichiarazioni di capitan Pomante. A fine gara uno sparuto gruppo di tifosi dello spicchio di curva a ridosso della tribuna, evidentemente troppo delusi per l'inaspettata battuta d'arresto dei rossoblù, hanno pesantemente contestato la squadra apostrofando i calciatori come “buffoni e venduti”. Durissimo lo sfogo del capitano in sala stampa che ha ribadito il grande impegno suo e dei suoi compagni in ogni gara. “Non abbiamo giocato bene e ci assumiamo le responsabilità. Noi sputiamo sangue in ogni occasione e la maglietta è sempre sudata. Capisco i fischi che possono starci, ma buffoni e venduti no, non ce lo meritiamo. Non se lo merita un gruppo secondo in classifica che sta portando il nome dell'Aquila in giro per l'Italia.”
Ha ragione da vendere Pomante. Questo modo di fare di alcuni, fortunatamente pochissimi, soggetti che si definiscono “tifosi”, ma che forse non conoscono il reale significato di questo termine, non solo è offensivo nei confronti di professionisti che svolgono il proprio lavoro, ma ha il grosso rischio di destabilizzare un ambiente che ha da sempre difficoltà a trovare compattezza nei momenti più duri della sua storia. Solo facendo quadrato intorno alla squadra, così da diventare in 12 sul campo, si potranno conquistare traguardi storici e importanti. Ma si sa, stultorum mater sempiter gravida.