“Il mio ciclo è finito e metto a disposizione le quote” ha ribadito al Centro il presidente rossoblù Chiodi che, dopo aver ricordato “di aver investito tanto e reso L’Aquila una società ambita”, ha anche ammesso “di avere ormai la piazza contro e di essere indifendibili per gli ultimi tre anni”.
Ora, dunque? Nessuna trattativa lampo, contrariamente a quanto si era fatto intendere nelle ore successive alla contestazione di domenica. I contatti con Mastropietro, prima frenetici, sembra siano diventati più radi nelle ultime ore.
Anche perché la società sembra si stia sedendo su più tavoli. Almeno due, da quanto riporta sempre Il Centro: in uno, appunto, Mastropietro, in un altro Iannini. Che, contrariamente a quanto circolato sui social già qualche giorno fa, non sarebbero affatto disponibili a trattare congiuntamente.
Ora, sedersi su più tavoli sarebbe stato pure legittimo, ma in altri momenti e in altre condizioni. Non in queste attuali: la società ha poco di spendibile e meno di patrimonializzato. La categoria è dilettantistica, lo stadio ancora non è oggetto di convenzione e il minimo di entusiasmo ricreatosi ad inizio stagione ha lasciato spazio alla rabbia della contestazione. Allora, oltre alle macerie (sportive, stavolta) cosa si vuole trattare? Il nodo del contendere è ovviamente il debito del club. Innanzitutto il solito balletto sulle cifre: la società parla di 7-800 mila euro di residui tra debiti di gestione ed esposizione con l’erario, le controparti insinuano una cifra poco sopra il milione. Ma la vera problematica è sul come garantirli. A parole gli attuali hanno sempre detto di voler uscire accollandosi tutti i debiti. Ma tra il dire e il fare, c’è sempre il mare.
E a furia di voler parlare con tutti per poter strappare le condizioni di uscita migliori, si rischia di rimanere col cerino in mano. Insomma, se ognuno cerca di tirare acqua al proprio mulino e ogni socio mette bocca cercando di influenzare in un verso o nell’altro, ad arrivare a giugno ci si mette un amen.
La conclusione della riflessione è: da trattare deve esserci ben poco e la proprietà deve capire che dopo i disastri degli ultimi tre anni di positivo c’è poco da strappare. Anzi, il giocattolo L'Aquila rischia di diventare ancor più pubblicità negativa per gli attori sul palcoscenico della ricostruzione.
Insomma, l’exit strategy non può che assomigliare ad una resa incondizionata se non si vuole correre il pericolo di rompere definitivamente il giocattolo e perdere la faccia. Si onorino gli impegni presi per la stagione corrente, ci si impegni a garantire i debiti e si riconsegni il club (che è patrimonio della città) nelle mani dello stesso sindaco che mise su la cordata da affiancare a Gizzi.
Sarà lui (e un eventuale comitato di tifosi) a vagliare le manifestazioni di interesse che dovessero arrivare, valutando offerta, esperienza, solidità economica e progetto sportivo.
Prima di subito, però, perché l'amministrazione è in scadenza e lo stillicidio delle prossime otto partite potrà solo che peggiorare l'ambiente.